Se sei una brava persona e lavori in comunicazione e marketing, è il momento di fare la tua parte. Possiamo iniziare insieme.

Chi consuma sta diventando sempre più consapevole. Che si tratti di produzione, commercializzazione o promozione poco importa, quello che chi consuma fa è chiedere alle aziende (sì, alle aziende) di adattarsi.
Adattarsi a un certo standard di trasparenza, di diversificazione di processi, di filiere pulite, di livelli occupazionali diversificati e inclusivi. Insomma: l’etica.
Etica, per quanto mi riguarda, è soprattutto due cose: non mistificare non manipolare.
Ma andiamo con ordine.

Perché il marketing etico è importante

Il marketing cosiddetto tradizionale è stato una mano santa per alcune cose: per la distruzione ambientale, la crudeltà sugli animali, l’aumento del divario di genere, per variegati problemi psicologici e finanziari (non mi addentro qui ora, magari lo farò in seguito). La cattiva reputazione del marketing non mi pare sia qualcosa su cui discutere e a ben vedere, ecco, mi pare anche giustamente.

Però, sempre in tutta franchezza, non è il marketing a essere malvagio ma un certo modo avido e iper sfruttante di fare marketing. La crisi pandemica, il cambiamento climatico, una certa disgregazione sociale stanno facendo propendere le persone verso le domande, verso cambiamenti perenni nei loro stili di vita. Cambiano di conseguenza le decisioni di acquisito, in favore di marchi considerati più etici di altri.

Il problema del global warming, ad esempio, ha portato le persone a riutilizzare, riciclare, riparare, realizzare i propri prodotti o interrompere del tutto gli acquisti. Tuttavia, di tanto in tanto abbiamo bisogno di cose nuove e quindi, quando dobbiamo comprare qualcosa di nuovo, facciamo ricerche per assicurarci che l’azienda e i prodotti siano in linea con i nostri valori. Questo cambio di paradigma dà l’opportunità di valutare e ottimizzare i processi aziendali in modo da continuare a crescere nonostante i cambiamenti di scenario.

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I consumatori sanno che sono stati manipolati. Sanno che sono state raccontate loro fandonie. Spesso, sanno già di tutti i washing di cui le aziende si sono macchiate, come il woke washing e il greenwashing.

Il woke washing: quando un’azienda (o un individuo) strumentalizza una causa sociale per il proprio guadagno personale. Di solito sotto forma di pubblicità. È rischioso? Sì. A livello di reputazione, soprattutto, perché se la suddetta causa è solo di facciata e non fa parte dei valori fondanti, se nulla viene fatto nell’ottica di quei precisi valori, le persone si arrabbieranno molto. Spesso così tanto da dover chiamare la fanteria del social crisis management. Più spesso, dirigendo i loro acquisti altrove.

Il Greenwashing: stai dicendo che sei ecologico quando non lo sei? Non sei solə. E lo sanno in tantə. Questo però non ti mette al riparo da tutte le ricadute che, beh, mentire, si porta dietro. Non basta una carta craft su un pack, non basta scrivere “eco” e no, non basta nemmeno raccontare fandonie. È l’era di internet baby, tuttə sanno tutto di tuttə, se vogliono.

Non vorrei però che la cifra di questo numero di Between The Lines fosse la paura. Vorrei, se posso, intavolare una discussione su quanto sia importante, al cambiamento di determinati scenari, riuscire a comprendere come una delle soluzioni possa essere un modo non manipolativo di fare marketing. Insomma, più in linea con la fiducia, la comprensione, la natura umana.

Cos’è il marketing etico?

Per semplificare, il marketing tradizionale convince i consumatori a comprare qualcosa. Non importa cosa. Il marketing etico aiuta i consumatori a prendere una decisione consapevole grazie a trasparenza, autenticità e consapevolezza. Le aziende guadagnano vendendo prodotti o servizi e l’approccio di marketing che scegliamo riflette il modo in cui gestiamo l’azienda stessa. Come trattiamo le persone. Il pianeta. Cosa davvero è importante per noi.

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Una delle cose che mi ha sempre fatto impazzire sono i consigli sul copywriting persuasivo. Scrollate il vostro feed Linkedin o Facebook e spunteranno sedicenti guru pronti ad insegnarvi le tecniche occulte della scrittura persuasiva. Che per carità, magari funzionavano pure una volta (e con una volta intendo sia nel passato e sia “per una volta soltanto”) ma oggi no. Una volta si vendevano gli occhiali a raggi X e le scimmie di mare, quindi, chi sono io per dirvi il contrario (80’s kids can relate).

Da dove partire? Da alcune pratiche di marketing non manipolativo

#1: Usare prezzi arrotondati

Da 0.99 a 349, poco importa. Questa, spiace dirlo, è manipolazione. Non puntiamo l’attenzione sul centesimo o l’euro che manca ma su ciò che viene prima. E quindi ci facciamo manipolare credendo di fare un affare. Chiariamoci, nessuno brucerà all’inferno per questo. Però quello che vorrei fare è suggerire una considerazione: perché voglio usare questa tattica?

Se lo facciamo per abitudine o perché i competitor fanno così allora niente, perché preoccuparsi di cambiare un sistema in esecuzione? Però magari potrei anche chiedermi qualcos’altro. Ad esempio potrei chiedermi se valga la pena dare ai miei prodotti il prezzo che meritano. 
Quando vediamo un cartellino del prezzo con -.99 alla fine, inseriamo automaticamente quel prodotto nella categoria economica e di bassa qualità. Pensiamo che sia in sconto, o un fondo di magazzino. Se i tuoi prodotti sono economici e di bassa qualità ok, ma in caso contrario questo inficia sulla percezione del prodotto stesso (e, sul lungo, su quella del marchio).

Quando uno -.99 viene schiaffato su un buon prodotto desta sospetti. Se usi un prezzo arrotondato invece, stai dicendo ai tuoi clienti che garantisci per la qualità di quel prodotto.

In uno studio del 2015 pubblicato dalla Oxford University Press, i ricercatori hanno concluso che i prezzi arrotondati sono più leggibili e compresi rispetto ai prezzi cosiddetti “di charme”. Le decisioni di acquisto sono spesso emotive e coloro che sono emotivamente attaccati a un prodotto hanno maggiori probabilità di fidarsi di un prezzo arrotondato.

Nel caso decidessi di modificare i tuoi prezzi, potresti avviare una conversazione con i consumatori, spiegando il perché della scelta: oltre al carattere prettamente informativo, incoraggerà il coinvolgimento valoriale e la fedeltà alla marca.

# 2 Trasparenza

Trasparenza significa qualcosa di diverso per tuttə, proprio come la parola sostenibilità. Per me significa essere onesta su cinque cose principali: come si gestisce l’azienda, come si producono i prodotti, come vengono trattati dipendenti e collaboratori, in che modo si stanno pianificando miglioramenti e, in ultimo, l’avere la capacità di assumersi la responsabilità degli errori commessi.

Sì, tuttə ne facciamo. Sì, ogni azienda ne fa.

I tuoi clienti potrebbero già sapere delle attenzioni che riservi allo smaltimento dei rifiuti ad esempio, ma sanno come funziona la tua filiera, come procuri i materiali, chi sono i tuoi partner, chi cuce i tuoi vestiti, da dove provengono i tuoi chicchi di caffè o se i tuoi dipendenti e collaboratori sono pagati e trattati in modo paritario e\o equo?
A queste domande dovremmo rispondere oggi, non nella prossima shitstorm sui social media.

Mostrare ai nostri clienti che stiamo lavorando su aree specifiche significa far sapere loro che sono abbastanza importanti da averti fatto propendere a investire su quelle aree. Mostra anche la vulnerabilità, perché dice: sto cercando di migliorare perché questo avrà impatto sul benessere come concetto diffuso e trasversale. Ci rende più riconoscibili e più affidabili. Ci mostra come umani.

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Se utilizzi plastica per l’imballaggio ma stai attualmente cercando una soluzione biodegradabile, i tuoi clienti vorranno conoscere cosa stai pensando di fare sul lungo periodo. Puoi mostrare loro i primi passi che hai fatto e indicare un lasso di tempo in cui sarai in grado di offrire la soluzione migliore. Non basterà semplicemente dire o scrivere “ci stiamo lavorando”, no. Perché qui siamo sul labile confine del greenwashing. Di norma, questi sono processi lunghi e le persone lo sanno. Magari potresti sviluppare una campagna ad hoc per mostrare il processo.

#3: Incoraggiare pazienza e abbondanza

Urgenza e scarsità sono due tattiche manipolative che ben conosciamo, che ispirano un’azione rapida e causano ansia e FOMO, la paura di perdersi qualcosa.
I messaggi e la tecnologia (ad es. timer per il conto alla rovescia, il numero dei clienti attualmente presenti sulla stessa offerta) utilizzati esclusivamente per promuovere una vendita sono considerati tattiche di urgenza o scarsità. C’è una zona grigia qui dove sento che alcune cose vanno bene mentre altre sono manipolative.

“Solo 2 posti rimasti: iscriviti ora!” quando in realtà ci sono 20 posti è disonesto. “Altri 2 giorni alla fine dell’offerta” invece, racconta del plus in scadenza. E mi sembra etico.
Non etico: se qualcuno mi chiede se l’offerta in questione verrà ripetuta e rispondo di no solo per chiudere la vendita. Non etico e disonesto.

Perché l’onesta è qualcosa che ripaga nel tempo. Magari non venderai oggi ma i tuoi clienti si ricorderanno della risposta che hai dato domani, quando avranno di nuovo bisogno di te, del tuo prodotto o di un tuo servizio. Saranno anche più propensi a collaborare (survey, recensioni) e darti il loro supporto.

Il marketing non è emergenziale. Non c’è alcuna emergenza che grida dagli scaffali dei negozi o nelle aziende. Se riusciamo a infondere la sensazione di abbondanza e pazienza io credo che guadagneremo in rispetto e saremo ricompensati.

#4: Abbracciare una sana mentalità competitiva

Quanto ci piace denigrare i nostri competitor? Chiaro, non lo facciamo comunicando con l’esterno, ma lo facciamo e lo facciamo costantemente. Vi è venuta in mente almeno una occasione in cui l’avete fato? Anche a me.

Qualcuno dice che la collaborazione è la nuova competizione. Ho letto qui la parola coopetition: collaborazione tra competitor, anche commerciali, nella speranza di risultati reciprocamente vantaggiosi.
Wiki dice che è un neologismo, anche se la sua comparsa è stata attestata nel 1913. Cosa abbiamo fatto fino a oggi?

Il fatto è che la paura della concorrenza è reale e umana. Quanto tempo investiamo ogni giorno, quanta energia, nel tentativo di “sbaragliare la concorrenza”? (espressione odiosa, per altro).
Proprio da questa paura derivano molte delle tattiche manipolative di cui abbiamo parlato, una guerra a colpi di chi trova l’escamotage più furbo e disonesto in minor tempo.
Forse, invece, potremmo investire tempo e risorse per lavorare sulla qualità, sul posizionamento, sul percepito. Sulle cause che muovono coloro che ci scelgono.

E se qualcuno là fuori fa ciò che facciamo noi ed è mosso dagli stessi ideali, non sarebbe proficuo cercare occasioni di collaborazione piuttosto che sbarrarsi la strada a vicenda? Secondo me sì. Una collezione co-branded, un evento condiviso, la condivisione di spazi di lavoro. Cose semplici e cose che richiedono più tempo.

Partire da qualche parte e arrivare insieme.
Mi piace pensare che un modo nuovo di fare profitto possa partire da qui. Dalle brave persone.


Domani sarò a Roma per presentare “Scrittura Ribelle”. Se ci vediamo mi fa piacere. Qui trovi le info e il form per iscriversi all’evento.

Nel frattempo, buon mercoledì.
Spero sia stata una buona giornata per te come lo è stata per me.